L’intarsio si differenzia dal mosaico perché ha il supporto in vista e questo costituisce la sua base essenziale; nel mosaico invece, considerato come semplice incrostazione, il supporto non ha nessuna importanza, può avere anzi consistenza assolutamente diversa dalla parte decorata, nei pavimenti come nelle pareti, nelle volte come nei soffitti e soprattutto nelle composizioni portatili. Nell’intarsio, quale che sia la materia con cui è realizzata l’opera d’arte, si deve incidere o scalfire la superficie in base ad un disegno prefissato e quindi includere negli incavi ottenuti una qualche materia che, levigata e portata allo stesso piano del supporto, servirà a formare il motivo decorativo.
Ed ecco la tecnica operativa: si prepara dapprima la cosiddetta cassa, ossia il vano di posa di ciò che costituirà l’inclusione. Si spalma, in questo vano, nel mastice collante o cemento. Si immette quindi il tassello di vario colore, preparato e ritagliato secondo il perimetro della cassa, in modo che aderisca perfettamente e che la commettitura risulti il meno evidente possibile.
La spianatura e la lucidatura sono le operazioni finali.
Gli intarsi a cui accennerò sono quelli in marmi o pietre dure.
Tarsia o intarsio sono sinonimi (dall’arabo tarsi, derivato di rassa, intarsiare: commettitura).
Una precisazione però: ritengo, in un certo senso, che “tarsia” possa distinguersi da “intarsio”: se infatti una tarsia può intendersi, secondo il suo significato letterale, anche una combinazione ottenuta con elementi marmorei, ritagliati – secondo un contorno o un disegno prestabilito ma non immessi in incavo – , il prefisso in- (in latino, “in uno spazio, dentro, superficie o profondità) completa l’idea di quanto vuole significare il sostantivo “intarsio”.
L’intarsio appartiene alla categoria delle decorazioni “polimateriche” che si realizzano per incastri, inserzioni, agemine, nielli, incastonature.
L’intarsio, a differenza del mosaico – soggetto agli effetti chiaroscurali e di movimento superficiali dovuto al gioco delle tessere – è sempre una cosa schiacciata e liscia e , per questo, ne dà la sensazione.

I più antichi esempi di intarsio provengono dall’Egitto, e risalgono al tempo della I dinastia, in piccole opere decorative su cofanetti in legno e avorio.
Nello stesso periodo, cioè verso il III millennio a.C., la stessa decorazione si ritrova più di frequente in architettura, con pietre dure e conchiglie fermate con impasto di bitume.
L’intarsio si può considerare una manifestazione collaterale del mosaico: specie nei pavimenti, il letto di malta, che con il coccio pesto poteva anche essere lasciato a vista,è impreziosito e ricoperto sempre più di frammenti marmorei. Si arriva così al pavimentum scutulatum, cioè a losanghe (scutulae), come quello del tempo di Giove Capitolino.
Alcuni chiamano l’intarsio opus sectile,  ma la denominazione più giusta sembra quella di opus interassile (lavorato a traforo, cesellato) perché consiste in genere nell’inserimento di una lamina sottile entro una lastra più grossa.

Con il XVII secolo la decorazione a tarsia e ad intarsio marmoreo come ornamento di pareti e pavimenti decade e si sviluppa nella decorazione dei mobili, in opere interamente in legno o in applicazioni in formelle di pietre semipreziose e dure.
Verso la metà del XVI secolo si diffuse il gusto per le opere portatili che dovevano avere grande fortuna. La nuova arte si impose in Italia e soprattutto a Firenze. Per capire  come si giunse a ciò, bisognerà considerare quanto era avvenuto nel frattempo in Asia e in oriente. Invasioni e conquiste hanno lasciato tracce anche nell’arte; si ebbero momenti di importazione e successivi momenti di esportazione.
Le influenze indo-islamiche, se fecero apprezzare le architetture fastose – i palazzi dei potenti incutono rispetto, perché simbolo del potere – fecero anche apprezzare, a scapito dei marmi, le pietre semipreziose e variamente colorate che acquistano lucentezza e trasparenza con la levigatura e la lucidatura.
Nella cosiddetta fortezza rossa a Delhi, residenza imperiale del Moghul Shah Jahal, che regnò dal 1628 al 1666, costruita in marmo bianco, appaiono intarsi già usati sotto i predecessori, ora però realizzati con pietre tenere calcaree, multicolori. Questi intarsi richiamerebbero al fiorentino, introdotti in quelle regione da soldati di ventura italiani e francesi.

(fonte La pittura di pietra – Ed.Giunti)

 
Adriano Graizzaro | ingegnere
phone 349 6259808

  Site Map