La superficie di calpestio, sia di ambienti confinati che esterni, fin dai tempi più remoti è stata ricoperta di materiali adatti a sopportare le sollecitazioni a usura. Tali materiali, lapidei o laterizi, hanno costituito, così come per i rivestimenti, la specializzazione della superficie; nel caso dei pavimenti, della superficie superiore delle opere basamentali e dei solai degli edifici.

Tale specializzazione delle superfici, che negli esempi primitivi è costituita da un semplice strato di terra battuta, ha assunto, attraverso i secoli, una propria autonomia formale, realizzando mirabili esempi di opere d’arte: dai semplici pavimenti a disegno geometrico, alle grandi composizioni naturalistiche realizzate dai Romani in opus tessellatum, al successivo ritorno ai motivi geometrici per una migliore rappresentazione del piano, qual’è il pavimento.

Ma per rimanere nell’ambito dei pavimenti lapidei correntemente impiegati in epoche trascorse e in quella attuale, dal primitivo strato di argilla battuta, con il tempo si è venuto a diffondere ampiamente l’uso di materiali resistenti che hanno dato dignità, prima che lusso, agli ambienti familiari e collettivi.

Il battuto di calcestruzzo semplice è stato il pavimento più impiegato nelle abitazioni dell’antica Roma, anche se veniva a coesistere con altri più ricchi e complessi come i mosaici.
Anche nelle case modeste era immancabile almeno una semplice decorazione pavimentale.

veneziana2Tuttavia, la tecnica pavimentale più diffusa è stata l’opus signinum, realizzato con uno strato di calcestruzzo ricoperto da un altro più sottile costituito da un impasto di piccoli frammenti di terracotta (cocciopesto) e malta di calce, spesso colorata con terre rosse. Su questo fondo di colore rosso mattone venivano disseminati piccoli frammenti di pietra bianca o pezzetti di marmo. Il tutto anche a formare disegni geometrici facendo ricorso, a volte, a tessere marmoree bianche e nere.
E’ evidente l’economicità del materiale impiegato: risultato di scarto di lavorazioni più pregiate o di riciclaggio di veri e propri rifiuti edilizi.

Una versione successiva dell’opus signinum è l’opus barbaricum che consisteva nell’inserimento di ciottoli fittamente accostati nello strato di calcestruzzo. Tuttavia, la superficie disuniforme suggerì il ricorso all’opus scutellatum simile alla precedente tecnica, ma con i ciottoli spaccati e inseriti nel legante con la frattura piana in vista.

Alcuni esempi pompeiani ci mostrano una tecnica intermedia fra l’opus signinum e il mosaico vero e proprio; si tratta dal lithostròton (o litostrati; dal greco lithos, marmo, pietra; stronnumi, stendere, lastricare): piccoli frammenti irregolari di marmo colorato inseriti in un fondo di pietruzze di calcare bianco.
Ma è nell’opus tessellatum di origine egiziana (o mosaico vero e proprio) che la tecnica pavimentale romana ha raggiunto importanti risultati per quantità e qualità.
Le tessere impiegate erano uniformi; le loro dimensioni mutavano in rapporto al pregio dell’opera; andando da pochi millimetri di lunghezza, opus minuta, a un centimetro per cinque di profondità. Generalmente erano bianche e nere, ma anche colorate mediante l’impiego di marmi gialli, rossi, verdi, azzurri. Si poteva fare ricorso a paste vitree, a smalti e madreperla per toni e valori di particolare effetto. Spesso la decorazione musiva veniva limitata al centro del pavimento con rappresentazioni circondate da fasce, ma, nelle residenze patrizie, poteva essere a tutto campo interessando l’intero vano. Decorazioni geometriche, riquadrature, emblemi, immagini floreali e figurate erano i temi dominanti.

L’arte musiva pavimentale raggiunse la massima raffinatezza nell’opus vermiculatum. Le tessere molto minute venivano sagomate e disposte a comporre veri e propri quadri con rappresentazioni figurate. Era una tecnica molto utilizzata nella Roma “ellenistica”.

Dal II secolo d.C. si venne affermando l’intarsio marmoreo a opus sectile (sectilia pavimenta; dal latino sectilis, segato, tagliato a lastre). Si trattava di lastre marmoree policrome di varia; orma e dimensione, disposte a formare motivi geometrici, ma anche floreali e figurativi. A intarsio marmoreo erano spesso realizzati i riquadri centrali dei vani, mentre a mosaico erano le aree rimanenti.

Le due tecniche hanno cosi continuato a coesistere per diversi secoli. L’opus sectile poteva anche essere a tutto campo e, in tal caso, venivano spesso impiegate mattonelle quadrate di un piede o di un palmo. Altre forme comuni erano le triangolari, le romboidali, le esagonali, le ottagonali e altre che potevano essere inserite nei numerosissimi e ripetuti motivi geometrici derivati (opus scutulatum).

Una successiva e conseguente elaborazione dell’opus sectile è l’opus alexandrinum, consistente nell’impiego di lastre piuttosto grandi di marmi colorati, di forma rettangolare o rotonda, incorniciate da fasce di mosaico policromo. Era una tecnica impiegata dai Romani e che ha avuto una lunga persistenza, raggiungendo elevati livelli espressivi e di raffinatezza nell’opera cosmatesca del periodo romanico (S. Clemente, S. Maria in Trastevere ecc., a Roma, ma anche nell’Italia meridionale).

L’opus interassile, impiegato dai Romani, consisteva invece nella realizzazione di un supporto, (generalmente una lastra di marmo bianco di spessore 4-8 cm), nel quale venivano eseguiti incavi a scalpello. In questi vuoti predisposti venivano inseriti elementi di marmi policromi dello spessore di circa 1 cm (vedi “intarsio”). L’aderenza veniva assicurata da un impasto caldo di polvere di marmo e colofonia.
Il motivo rappresentato prevedeva, generalmente, l’evidenziazione della lastra di supporto sia nella cornice, sia in molte altre parti della composizione.

opus_segmentatumAutonoma reinterpretazione delle tecniche pavimentali romane (opus segmentatum), il pavimento alla palladiana si diffuse per opera di Andrea Palladio, il grande architetto padovano, nel Veneto del XVI secolo.

Consisteva nell’inserimento di frammenti marmorei, non uniformi e di varia dimensione, in un getto di legante cementizio in modo tale da lasciame in evidenza la superficie.
Questa tecnica oggi, dopo quattro secoli, è ancora usata in diverse versioni di pregio più o meno elevato.

Anche il pavimento alla veneziana è di antica derivazione e consiste nell’inserimento, mediante semine, di graniglia di varia dimensione e colore, in uno strato di legante cementizio. A fine opera la levigatura e la lucidatura mettono in evidenza le caratteristiche dimensionali, cromatiche e di disposizione a disegno delle varie graniglie impiegate. Questa tecnica è ancora oggi usata, seppur con difficoltà relativa al reperimento delle maestranze specializzate.

Pavimenti in grandi lastre lapidee a contorno irregolare sono state invece impiegati nei grandi edifici egiziani, persiani e cretesi. I giunti rettilinei venivano saldati a cemento. Le grandi lastre squadrate, già comparse nella civiltà minoica, si sono poi diffuse più ampiamente in quella ellenica e romana.

PAVIMENTI IN TUTTO MARMO

Convenzionalmente a questa categoria appartengono i pavimenti costituiti da elementi di forma semplice (quadrati, rettangolari, esagonali) ricavati a macchina da lastre segate di marmo, granito o pietra. Le dimensioni degli elementi, generalmente, possono variare da 25 a 100 cm secondo le prescrizioni di capitolato e gli elaborati grafici di progetto.

Nei pavimenti in tutto marmo è sconsigliabile l’impiego ripetitivo di elementi costituiti da un medesimo litotipo. Ciò per evitare uno sgradevole aspetto derivato da un’uniforme monotonia. Tuttavia, è possibile ricorrere a questo tipo di scelta, quando il litotipo presenta policromie con venature e smacchiature.
Il disegno interessante di alcuni litotipi può essere messo in maggiore, evidenza mediante l’impiego di grandi elementi disposti a macchie aperte a libro.

Nei pavimenti correnti, ma anche in quelli di maggior pregio, usualmente si impiegano rocce di vario tipo e colore selezionandole in funzione dell’effetto che si intende raggiungere. E’ consigliabile ricorrere a un limitato numero di litotipi ben inseriti per disegno e per colore nell’ambiente che si intende pavimentare. Ad una maggiore complessità nella disposizione degli elementi, nell’impiego di più litotipi, nella diversità delle venature e nella varietà di colori, può corrispondere un maggior pregio estetico dell’insieme, solo se la progettazione viene eseguita con maestria, sensibilità ed esperienza. Tuttavia, è possibile avere effetti di alto pregio ricorrendo ad accostamenti di litotipi differenti a fondo venato, macchiato o brecciato.

L’uso, pur sempre accorto, di litotipi con queste caratteristiche è andato, nei tempi moderni, perdendosi a favore di quelli a colore uniforme e senza alcun disegno.

In questo senso si ritiene importante recuperare la grande tradizione marmoraria che, nella sua plurimillenaria esperienza, sapeva trattare la pietra evidenziandone le caratteristiche di ciascun tipo. Ciò veniva realizzato ricorrendo proprio ai disegni e ai colori più fantastici che la natura minerale poteva fornire.

CARATTERISTICHE CROMATICO-DIMENSIONALI DELLE PIETRE ORNAMENTALI

L’impiego delle pietre ornamentali nelle costruzioni è condizionato dalle soluzioni adottate in relazione ad aspetti tecnico-commerciali ed estetici. Infatti, nel trattare i lapidei si deve tener presente che fa loro produzione consiste esclusivamente nell’escavazione di materiale naturale. Dunque non esiste alcuna possibilità di modificare le diverse caratteristiche della roccia. La produzione di lapidei con caratteristiche di discontinuità determina problemi soprattutto nel caso d’impieghi importanti che richiedono forniture di elevata entità. Le conseguenze di questa discontinuità possono quindi influire sull’opera sia dal punto di vista tecnico-economico che estetico.

Pertanto occorre considerare i seguenti tre aspetti:

- La disponibilità del materiale da parte del produttore, ovvero la sua capacità di fornire una quantità adeguata alla richiesta del lavoro. Nel caso di forniture particolarmente cospicue, occorre procedere preventivamente a uno studio della cava finalizzato alla conoscenza della sua potenzialità produttiva. Ciò soprattutto nel caso di litotipi estratti da banchi limitati e di esiguo spessore, da cave di saltuaria escavazione o da cave in via d’esaurimento.
- L’uniformità del materiale nelle sue proprietà tecniche (fisiche e meccaniche), nei suoi aspetti di tessitura, cromatici, e di disegno della venatura (ovvero delle sue attribuzioni grafiche). Tale caratteristica è necessaria per ottenere soluzioni uniformi sia dal punto di vista comportamentale degli elementi (considerati singolarmente e complessivamente), sia da quello estetico. Anche in questo caso è necessario procedere preventivamente a campionature da effettuare in vari punti della cava, interessati all’estrazione, necessari per eseguire le prove di laboratorio. Tutte queste costituiscono operazioni necessarie a garantire il raggiungimento del risultato secondo le soluzioni previste.
- La scelta delle dimensioni degli elementi costituisce un altro aspetto che interessa non solo il risultato estetico, ma anche quello tecnico-economico. Il disegno delle venature, ad esempio, può influire sia sulla dimensione degli elementi, che sulla loro geometria di posa. Inoltre tale dimensione riguarda direttamente fa soluzione di progetto adottata, sia per quanto riguarda il sistema dei giunti, sia il sistema della posa in opera.

In generale l’aspetto dell’’uniformità, se può essere controllato dal punto di vista delle proprietà tecniche (mediante sondaggi e prove), lo è, molto meno nel caso delle sue attribuzioni grafiche, in particolar modo di disegno. Anzi, soprattutto in alcuni litotipi, l’attribuzione grafica risulta imprevedibile e mutevole anche all’interno di un medesimo blocco.

Tali problemi estetici sono inesistenti, o di scarsa entità, in rocce caratterizzate da tessitura compatta, cromatismi regolari, disegno uniforme e motivi di ridotta dimensione (come nel caso dei graniti, dei porfidi, dei travertini e in generale in tutti i litotipi privi di disegno). Tuttavia, anche adottando rocce di questo genere, è possibile notare in alcune realizzazioni superfici caratterizzate da discontinuità cromatica degli elementi dovuta a forniture differenziate provenienti da vari fronti di cava, o da cave diverse.

Di ben altra entità si presentano i problemi nel caso d’impiego di litotipi caratterizzati da grandi disegni e motivi nonché da cromatismi irregolari come alcuni arabescati, alcuni venati e, in generale, le brecce. Tuttavia sono proprio questi i casi nei quali è possibile ottenere gli effetti decorativi più spettacolari ricorrendo, ad esempio, ad elementi anche di elevata dimensione disposti a macchia aperta a libro, o giocata.

In questi casi, anche quelle che possono definirsi imperfezioni grafiche della lastra assumono un diverso significato in particolari soluzioni decorative. Tali imperfezioni non sono tollerate (o sono tollerate al minimo) nel caso di estese applicazioni prive di soluzioni di continuità dove è richiesta un’elevata uniformità degli attributi grafici degli elementi. Per raggiungere questo scopo in alcuni casi occorre limitare la scelta solo a una parte delle lastre con conseguente spreco di materiale lapideo con conseguente aumento del costo unitario.

Quindi da questo punto di vista mentre alcuni litotipi uniformi pongono come limite quello del blocco (graniti, porfidi ecc.), altri, pur nel loro pregio estetico, non possono essere presi in considerazione per la realizzazione di estese superfici per via della difficoltà di raggiungere adeguate soluzioni decorative che fondano il loro valore sull’uniformità.

E’ sempre auspicabile una soluzione intermedia che prevede l’impiego di un litotipo che presenta attribuzioni grafiche non particolarmente evidenti e a motivo uniforme tale, però, da mostrare l’inconfondibile figuratività del “marmo” e al contempo di ridurre, entro limiti ragionevoli, lo scarto di materiale. A questo possono contribuire anche le soluzioni progettuali. Infatti, soprattutto in presenza di litotipi caratterizzati da evidenti venature su fondo prevalentemente uniforme, è possibile ridurre lo scarto anche della metà ricorrendo a una geometria di posa che prevede elementi disposti “a correre” anziché “a misura fissa“.

ESECUZIONE DEI PAVIMENTI A TUTTO MARMO

pavimentazioni3I pavimenti di marmo, granito, travertino o pietra consistono in elementi ricavati a macchina da lastre segate. Gli elementi possono essere quadrati, rettangolari o di altra forma e il loro spessore può risultare inferiore a 2 cm (Modulmarmo e pavimenti tagliati da “tagliablocchi”).
Gli elementi del pavimento dobrebbero preventivamente essere composti a terra così da ottenere dall’accostamento delle lastre il migliore effetto estetico di insieme e ridurre al minimo, nell’accostamento medesimo, accentuate differenze di tonalità e di venatura. Oppure questo lavoro di scelta viene eseguito da accorti posatori che prima della posa definitiva selezionano le tonalità per un miglio accostamento e quindi un miglior risultato finale.

Nel caso dei pavimenti a macchia aperta gli elementi composti a terra devono essere contrassegnati sul rovescio con numeri corrispondenti alla posizione destinata a ciascuno. La posa in opera deve essere eseguita come da progetto,  curando in particolare l’aderenza degli elementi fra di loro, dovendone risultare giunti impercettibili. Per i pavimenti che poggiano su solaio, e comunque non aerati nella parte sottostante, ivi compresi vespai di qualunque genere, sul sottofondo devono essere applicati fogli di cartonfeltro bitumato cilindrato C 333 UNI 3838 con sovrapposizioni di almeno 10 mm.

IN CEMENTO E MARMO-CEMENTO

Per pavimenti in marmo-cemento si intendono quelli realizzati con frammenti lapidei di varia dimensione, o cocciame di lastre segate nello spessore da 2 a 3 cm, che vengono disposti in uno strato cementizio in modo da lasciare in evidenza la loro superficie.
I pavimenti così realizzati hanno carattere di monoliticità e, a levigatura avvenuta, presentano in evidenza i frammenti litici nelle loro possibili diverse varietà forme e dimensioni. Anche il legante cementizio, formante il fondo cromatico, può essere pigmentato mediante appositi coloranti.

Il battuto di cemento è il tipo di pavimento più economico. Il livello qualitativo immediatamente superiore è rappresentato dal battuto di graniglia, costituito da uno strato di malta cementizia e graniglia di marmo di varia pezzatura. A levigatura e lucidatura avvenuta ne risulta un effetto uniforme. Il pavimento alla palladiana può distinguersi in normale, semigigante e gigante in riferimento alla dimensione dei singoli elementi di cocciame di lastre. Ulteriori versioni di questo pavimento sono: alla romana e in bollettonato.

Il pavimento alla veneziana rappresenta il tipico pavimento a getto, vero erede delle antiche tecniche e precedente di quello alla palladiana.
Può essere eseguito in svariatissime tinte, disegni e composizioni, mediante l’impiego di graniglie di diverso colore e dimensione, di legami cementizi variamente colorati, di partiture a vario disegno e mediante l’inserimento di marmi, anche di varia natura, in cubetti o tessere di altre forme. Le marmette in cemento e graniglie disegnate e/o colorate hanno rappresentato, nel recente passato, un esempio delle possibilità relative alla diffusione di tecniche pavimentali di elevata qualità, mediante la razionalizzazione del lavoro attuata attraverso gli opifici.

Il pavimento a mosaico vero e proprio a tessere uniformi è il discendente diretto dell’opus tessellatum romano. Si sta assistendo a una riscoperta di questa tecnica impiegata sia in piccole parti pavimentali (come emblemi centrali o decorazioni a nastro), sia in connubio con pavimenti alla veneziana, sia in interventi a tutto campo. Il mosaico intagliato (è il tipo più impiegato per superfici pavimentali e parietali) è costituito da tessere marmoree e/o in pasta vitrea (queste soprattutto per mosaici parietali). Le tessere marmoree possono essere intagliate ricavandole dai più vari litotipi, ma sono preferiti quelli monocromi e privi di venature o macchie. Le tessere in pasta vitrea sono caratterizzate da un’elevatissima gamma di valori e tonalità.

ALLA PALLADIANA

palladianaQuesti pavimenti si distinguono in: normale, semigigante e gigante, con riferimento alle dimensioni del pezzame di pietre o dei marmi che vengono impiegati.
Le pietre e i marmi da impiegare in genere sono i seguenti: Giallo o Gialletto di Verona, Rosso di Verona Chiaro e Scuro, Nero Nube, Neri del Carso, Verde Alpi, Rosso di Deiva, Giallo di Siena Chiaro e Scuro, Cipollini della Versilia (Cipollino Verde Italiano), Bianco Carrara D, Bianco Carrara Venato D, Bardiglio di Carrara Scuro, Bardiglio Fiorito, Bardiglio Imperiale, Bardiglio Cappella.

Il pezzame deve presentare perimetro irregolare con frattura a martello e con spessori di 2-3 cm. Di regola, la massima dimensione degli elementi nel pavimento alla palladiana normale non deve superare 10 cm, in quello semigigante 30 cm e in quello gigante 50-60 cm. La dimensione minima di ciascun elemento non deve essere inferiore al 65% di quella massima. I pavimenti alla palladiana possono essere richiesti con pezzame sia di un solo tipo, con legante di altra tinta, oppure con due, tre tipi o più e legante anche colorato.

Il pezzame deve essere collocato in opera sul sottofondo predisposto e su un letto dello stesso spessore di 2-3 cm di malta di cemento e sabbia. Inoltre il pezzame deve essere bene accostato elemento per elemento e, quindi, venire sigillato con un impasto di solo cemento normale tipo 425 oppure bianco, o anche misto a colori minerali, secondo quanto previsto dal progetto. I pavimenti alla palladiana devono presentare un buon effetto estetico di insieme, pertanto la disuniformità tra gli elementi di maggiore e minore dimensione non deve essere troppo accentuata. La finitura deve sempre essere completata con la lucidatura a piombo.

ALLA ROMANA

pavimento_alla_romanaIl pezzame deve presentare perimetro irregolare con frattura a martello e lo spessore sarà di 2-3 cm. Di regola, la massima dimensione degli elementi nel pavimento alla romana normale non deve superare 10 cm, in quello semigigante 30 cm e in quello gigante 50-60 cm; la dimensione minima di ciascun elemento non può essere inferiore al 65% di quella massima.
Il pezzame deve essere posto in opera sul sottofondo predisposto e su un letto dello spessore di 2-3 cm di malta di cemento e sabbia e bene accostato elemento per elemento. Quindi deve essere sigillato con un impasto di solo cemento normale tipo 425 oppure bianco, con giunti incavati.

I pavimenti alla romana devono presentare un buon effetto estetico di insieme, pertanto la disuniformità tra gli elementi di maggiore e minore dimensione non deve essere troppo accentuata. Nel pavimento alla romana può eseguirsi la levigatura ma non la lucidatura.

A BOLLETTONATO (O IN MOSAICO OD OPUS INCERTUM, CON SCAGLIE DI MARMO TRANCIATE)

bollettonatoSul piano di posa deve essere applicato uno strato dello spessore di circa 30 mm di conglomerate, cementizio grasso, nel quale verrà annegata un’armatura di tondini di acciaio del diametro di 5 mm disposta a formare riquadri di circa 50 cm di lato. Lo strato di conglomerato deve essere quindi ben costipato. Su tale sottofondo devono essere disposti a mano i pezzami dei marmi che in genere sono i seguenti: Giallo o Gialletto di Verona, Rosso di Verona Chiaro e Scuro, Nero Nube, Neri del Carso, Verde Alpi, Rosso di Deiva, Giallo di Siena Chiaro e Scuro, Cipollini della Versilia (Cipollino Verde Italiano), Bianco Carrara D, Bianco Carrara Venato D, Bardiglio di Carrara Scuro, Bardiglio Fiorito, Bardiglio Imperiale, Bardiglio Cappella.

I pezzami predetti devono avere lo spessore di 2-3 cm e le altre dimensioni di 5-7 cm; occorre che siano tranciati ai lati e disposti a mosaico in modo tale da ridurre al minimo gli interspazi.
Sullo strato di pezzame deve essere versato, sino a rigurgito, un impasto di solo cemento normale tipo 425, ovvero bianco, come previsto dal progetto, o anche misto a colori. L’impasto deve circondare il pezzame da tutti i lati. Si procede quindi alla rullatura e in seguito, a presa avvenuta, all’arrotatura, levigatura e lucidatura a piombo. (Una versione di questa tecnica sono i pavimenti a mosaico romano detto anche opus quadratum costituiti da dadi di marmo o elementi quadrati, di varia dimensione 4-8 cm di lato e di vario colore, anche a formare disegni. Per l’esecuzione generale sono del tutto simili ai pavimenti a bollettonato.

ALLA VENEZIANA

Sveneziana_3ul piano di posa deve essere applicato uno strato dello spessore di circa 30 mm di conglomerato cementizio grasso, nel quale viene annegata un’armatura di tondini di acciaio del diametro di 5 mm, disposta a formare riquadri di circa 50 cm di lato. Lo strato di conglomerato deve essere quindi battuto a rifiuto, rullato e lisciato. Ad esso deve essere sovrapposto, spargendolo uniformemente sulla superficie, uno strato di graniglia in scaglie da 20-25 mm accuratamente battuto con pestello metallico e successivamente cilindrato con rullo di almeno 100 kg, seminandovi indi altra graniglia da 4 a 7 mm, per il riempimento dei vuoti, cilindrando ancora e bagnando la graniglia con acqua. Si versa, fino a rifiuto, un impasto molto fluido di solo cemento normale tipo 425 oppure bianco, come previsto dal progetto, o anche misto a colori, indi si procede alla cilindratura, fino a uniformare l’impasto graniglia-cemento.

La quantità in volume delle scaglie da 20-25 mm deve essere superiore alla quantità delle scaglie da 4-7 mm. La qualità dei colori impiegati deve essere adatta all’impasto, e tale da non crearvi disgregazioni o altri difetti. Le graniglie impiegate possono essere ricavate dai seguenti litotipi: Giallo o Gialletto di Verona, Rosso di Verona Chiaro e Scuro, Nero Nube, Neri del Carso, Verde Alpi, Rosso di Deiva, Giallo di Siena Chiaro e Scuro, Cipollini della Versilia (Cipollino Verde Italiano), Bianco Carrara D, Bianco Carrara Venato D, Bardiglio di Carrara Scuro, Bardiglio Fiorito, Bardiglio Imperiale, Bardiglio Cappella. A presa avvenuta deve essere eseguita l’arrotatura a macchina con idonee mole abrasive, sino a rendere le scaglie della graniglia nettamente contornate dal cemento, quindi deve essere effettuata la levigatura e la lucidatura a piombo. Si deve adottare ogni accorgimento e porre ogni cura affinché i pavimenti alla veneziana risultino privi di carie, screpolature, fessurazioni, o altri difetti di qualsiasi genere, creando, tra l’altro, appositi giunti a mezzo di lamine di battuta di ottone, o di lega di zinco e titanio (opportunamente munite di zanche) alte 3 cm circa e dello spessore di 1 mm collocate di costa, cosi da formare riquadrature regolari e di opportune dimensioni.

I pavimenti, cosi realizzati, nel caso in cui non fossero circondati completamente da muri, devono essere perimetrati, in tutto, o in parte, dalle lamine di battuta di cui sopra. Per pavimenti a disegno di diverso colore, la gettata della malta colorata si effettua adottando opportuni accorgimenti, perché il disegno risulti ben delimitato con contorni netti e senza soluzioni di continuità.

Quando il disegno deve essere ottenuto mediante cubetti di marmo, questi devono essere disposti sul piano di posa prima di gettare l’impasto cementizio di cui sopra, al naturale, o colorato. Dopo un periodo di stagionatura (circa sette giorni) si esegue la levigatura a macchina, con mole abrasive delle varie grane (30-60), sino a vedere la graniglia, o le scaglie nettamente contornate dal cemento. Si esegue, quindi, la stuccatura e, dopo almeno 8 giorni, la ripulitura con mole di varia grana (120-200-300-400) sino ad arrivare gradualmente alla lucidatura a piombo.

Una versione di questa tecnica sono i pavimenti alla veneziana antichi, o in gettato di graniglia con seminato. Il sottofondo è simile a quello dei pavimenti alla veneziana con una minima quantità aggiunta di calce idrata e simile è l’esecuzione generale. Differente è, invece, la costituzione dello strato superficiale di 2 cm, composto di calce, polvere di marmo e polvere di mattone, in cui vengono battuti granulati di marmo della grossezza di una nocciola ottenuti a martello. Dopo la levigatura e stuccatura, anziché la lucidatura a piombo, si può effettuare una buona levigatura con mola fine e un’ingrassatura con olio di lino e cera. Questa tecnica pavimentale, i cui primi esempi veneziani risalgono al secolo XVII, è ancora oggi praticata, soprattutto ad opera di maestranze dell’Italia settentrionale.

IN MOSAICO VERO E PROPRIO: TECNICA INDIRETTA

Spavimento_a_mosaicoi impiegano tessere bianche e nere, o a diversi colori, ricavate singolarmente (e non da listelli pre-segati da lastre), mediante frammentazione (o intaglio) di marmi, o pietre adatte. La forma delle tessere dev’essere quadrangolare e la loro dimensione può variare da 0,8 a 10 mm. La gamma cromatica di base può essere costituita dai seguenti litotipi: Bianco Statuario, Bianco Carrara, Travertino Romano Oniciato, Travertino Romano Chiaro, Botticino, Trani, Travertino Romano Scuro, Rosa Portogallo Aurora, Rosa Portogallo Salmonato, Nembro Rosato, Rosa Corallo, Giallo Siena Chiaro, Giallo Siena Reale, Giallo Mori, Giallo Siena Scuro, Giallo Torri, Travertino Persiano, Rosso Collemandina, Rosso Magnaboschi, Rosso Porfirico, Rosso Levanto, Pernice Rossa, Pernice Grigia, Viola Porpora, Azul Macauba, Bleu Baia, Bardiglietto, Bardiglio, Cipollino, Verde Aver, Verde Issorie, Verde Serpentino di Civate, Portoro, Nero Marquiffia, Nero del Belgio (o Assoluto), Rosso Alicante.

Si esegue il disegno del motivo in scala reale e al rovescio, su carta da spolvero. Si traccia una griglia di taglio al fine di suddividere il disegno generale in sezioni, generalmente mai superiori a 0,25 mq.
Il sistema dei tagli deve seguire l’andamento del disegno senza attraversare superfici di colore uniforme, al fine di non evidenziare le giunzioni a posa in opera ultimata. Sul retro si eseguono segni di riferimento e numerazioni che occorre riportare in un opportuno schema in scala ridotta. Si procede al taglio delle sezioni sulle quali vengono incollate le tessere con apposito collante, formato da una miscela di colla vegetale e vinilica (indicativamente: 9 parti + 1). Quanto sopra come da progetto.
Le sezioni ultimate vengono riaggregate a formare il disegno generale prima della posa in opera.

Sul piano di posa deve essere applicato un sottofondo costituito da uno strato dello spessore di circa 30 mm di conglomerato cementizio grasso nei quale viene annegata un’armatura di tondini di acciaio del diametro di 5 mm disposta a formare riquadri di circa 50 cm di lato. Lo strato di conglomerato deve essere, quindi, battuto a rifiuto, rullato e lisciato. Su tale sottofondo deve essere applicato un ulteriore strato di 15 mm di malta composta da cemento normale tipo 425, grassello di calce e sabbia. Tale strato deve essere eseguito per porzioni successive in funzione dei cicli di posa in opera del mosaico. Si procede alla spalmatura della superficie posteriore delle sezioni con un impasto di solo cemento e alla loro applicazione mediante battitura. Il piano del pavimento deve risultare perfettamente orizzontale e privo di sporgenze e avvallamenti.

Trascorso il tempo necessario alla presa, si procede all’asportazione della carta e della colla, mediante lavaggi con acqua e soda caustica. Qualora nella fase di pulitura si dovesse verificare il distacco di alcune tessere, si deve curare il loro perfetto ripristino nelle sedi di origine. Nel caso in cui la posa in opera dovesse comprendere due o più cicli lavorativi, si farà in modo che i perimetri delle sezioni risultino perfettamente perpendicolari al piano di posa mediante l’asportazione del relativo strato di malta applicato fra il sottofondo e le tessere. Dopo un opportuno tempo di presa, si procede al riempimento delle connessure.

Il lavoro si esegue con cemento bianco o misto, a pigmenti minerali, con il quale si può procedere alla stuccatura delle connessure, anche con diversi colori secondo quanto previsto dal progetto. La finitura deve sempre essere completata con la lucidatura a piombo.

IN MOSAICO VERO E PROPRIO: TECNICA DIRETTA

Le tessere sono dello stesso tipo di quelle impiegate nella tecnica indiretta. Si esegue su carta il disegno generale del motivo in scala reale e la griglia di taglio delle sezioni. Sulla medesima forma di queste ultime vengono sagomati dei supporti rigidi (tipo Populit) sui quali si applica uno strato di 3 cm di malta costituita da grassello di calce e sabbia.

Dopo aver eseguito sulla malta il disegno del motivo relativo alla sezione, si inseriscono le tessere direttamente a faccia vista. Trascorso un opportuno tempo di presa, si incollerà sulla superficie del mosaico una tarlatana (garza rada e robusta), mediante collante formato da una miscela di colla vegetale e vinilica. Ad incollaggio avvenuto, si capovolge il mosaico asportando con cura, mediante spillatura (ovvero mediante strumenti appuntiti), il supporto temporaneo costituito dalla malta suddetta.

Si procede alla posa in opera, così come descritto nella tecnica indiretta, anche per quanto riguarda il tipo di sottofondo, l’asportazione della tarlatana e della colla, il riempimento delle connessure fino alla lucidatura a piombo.

Per quanto riguarda l’esecuzione di mosaici parietali, i procedimenti sono analoghi a quelli trattati, con la differenza che, al sottofondo descritto, viene sostituito uno strato di 2 cm di intonaco grezzo. Possono essere impiegate anche tessere vitree, si può lasciare la superficie delle tessere senza polimentazione e la superficie stessa può essere applicata in modo da far risultare il piano generale ondulato.

(fonte:  Origine, escavazione, lavorazione e uso in edilizia della pietra del materiale lapideo)

 
Adriano Graizzaro | ingegnere
phone 349 6259808

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